Frasiarzianti's Blog

Le frasi più belle tratte dai libri letti

Archivio per la categoria “Letteratura tedesca, 24 libri”

Niente di nuovo sul fronte occidentale – Erich Maria Remarque

“Questo libro non vuol essere né un atto d’accusa né una confessione. Esso non è che il tentativo di raffigurare una generazione la quale – anche se sfuggì alle granate – venne distrutta dalla guerra.”

“Abbiamo ricevuto il cambio ieri e ora siamo a riposo, nove chilometri dietro il fronte. Abbiamo la pancia piena di fagioli bianchi con carne di manzo, e ci sentiamo sazi e soddisfatti.”

“Per il soldato, lo stomaco e la digestione sono realtà a cui pensa più di quanto facciano altri esseri umani. Tre quarti del suo vocabolario sono tratti da lì, e la massima gioia come la disperazione più profonda vi trovano la loro espressione più precisa.”

“Il sordo brontolio del fronte ci arriva come un temporale lontanissimo. Il volo dei calabroni basta a coprirlo. E intorno a noi il prato fiorito. I fili d’erba si piegano all’aria mite e calda della tarda estate; leggiamo lettere e giornali e fumiamo beatamente; ci togliamo i berretti e li appoggiamo accanto a noi; il vento gioca con i nostri capelli come con la nostra parola e con i nostri pensieri.”

“Facile sarebbe stato davvero che oggi non sedessimo in queste cassettine: l’abbiamo scampata per poco. E perciò ogni sensazione è nuova e forte: i rossi papaveri e il buon cibo, le sigarette e la brezza d’estate.”

“…a quell’epoca persino i genitori avevano la parola vigliacco a portata di mano. La gente non aveva la più lontana idea di ciò che stava per accadere.”

“Sotto la pelle la vita non pulsa più, respinta fino ai margini del corpo; la morte si fa strada dall’interno, e domina già gli occhi. Eccolo là, il nostro compagno Kemmerich, che fino a poco fa cucinava con noi carne di cavallo e gironzolava per le trincee; è ancora lui, eppure non è già più lui, la sua figura si è sfumata, è diventata incerta come una lastra su cui si siano impresse due fotografie. Persino la sua voce suona spenta come cenere.”

“Gioventù di ferro. Gioventù! Nessuno di noi ha più di vent’anni. Ma giovani? La nostra gioventù se n’è andata da un pezzo. Noi siamo gente vecchia.”

“Da quando siamo qui, la nostra vita di prima è tagliata fuori, senza alcuna colpa da parte nostra. Talvolta cerchiamo di farci un’idea generale, di darci una spiegazione, ma senza riuscirci.”

“Kantorek direbbe che eravamo sulla soglia dell’esistenza; e in fondo è vero. Non avevamo ancora messo radici; la guerra, come un’inondazione, ci ha spazzati via.”

“Ci eravamo arruolati pieni di entusiasmo e di buona volontà: non mancò alcuno sforzo per spegnere in noi l’uno e l’altra.”

“Noi eseguivamo esattamente perché il comando è comando e deve essere eseguito.”

“Divenimmo duri, diffidenti, spietati, vendicativi, rozzi; e fu un bene: erano proprio quelle le qualità che ci mancavano.”

“Ma importante fu che tra noi venne in tal modo sviluppandosi un forte sentimento di solidarietà, il quale poi al fronte si innalzò a quanto di meglio abbia prodotto la guerra: il cameratismo.”

“Accenno di si, e penso a che cosa potrei dire ancora per rianimarlo un poco. Le sue labbra sono slavate, la bocca è diventata più grande, i denti sporgono, come fossero di gesso. La carne si va disfacendo, la fronte sembra più ampia, gli zigomi sono in fuori. Lo scheletro affiora a poco a poco, gli occhi si infossano. Tra un paio d’ore sarà finita.”

“Mi guardo gli scarponi, grandi e goffi, in cui sono stati infilati malamente i pantaloni: in quei tubi si ha l’aspetto forte e robusto, ma quando al bagno ci spogliamo riveliamo a un tratto la gracilità delle gambe e delle spalle. Allora non siamo più soldati, ma quasi ancora bambini; nessuno ci crederebbe capaci di portare lo zaino. E’ un curioso momento, quando siamo nudi; ritorniamo borghesi e per un istante quasi ci crediamo.”

“La terra è percorsa da fluidi che attraverso le piante dei piedi si trasfondono in me. La notte è carica di elettricità, il brontolio del fronte sembra una lontana musica di tamburi. Le mie membra si muovono snodate, sento i tendini agili nel moto, respiro, soffio, mi scuoto. La notte vive, io vivo. Ho appetito, una fame tremenda che non viene dallo stomaco.”

“O camerate piene di ombra e di tanfo, con le brande di ferro ripiegate, le plance e i bottini allineati sopra, voi pure potete diventare meta di umani desideri! Qui ci apparite come un riflesso favoloso della patria, con il vostro odore misto di cibo stantio, di corpi dormienti, di tabacco e di vestiti.”

“E allora, vedete, il potere dà alla testa; tanto più dà alla testa, quanto meno uno contava da borghese.”

“Tutti acconsentiamo, perché sappiamo bene che in trincea la disciplina di caserma cessa, ma per ricominciare pochi metri dietro il fronte, magari con le maggiori assurdità; saluti, passi di parata, ecc. Questo perché vi è una legge di ferro: il soldato deve avere sempre qualcosa da fare.”

“In realtà non dobbiamo andare in trincea ma soltanto a stendere reticolati; eppure in ogni volto si scorge che ormai siamo al fronte, nel suo territorio.
Non è ancora paura. Chi come noi è andato avanti tante volte ha la pelle dura. Solo le giovani reclute sono inquiete.”

“I nostri volti non sono più pallidi o più accesi del solito, né i tratti sono più tesi o più rilassati; eppure è un’altra cosa. Nel nostro sangue si è formato una specie di contatto elettrico, come allo scatto di una molla. Non sono modi di dire, è un fatto: è il fronte, è la coscienza del fronte che sviluppa questo contatto. Al fischio delle prime granate, al primo strappo dell’aria solcata dalle detonazioni, subito nelle nostre vene, nelle mani, negli occhi è come un’attesa sommessa, un origliare, un essere più svegli, una singolare duttilità dei sensi: all’improvviso tutta la persona si trova in piena efficienza.”

“Per me il fronte è un orribile gorgo. Mentre si è ancora lontani, là dove le acque sono ancora tranquille, già si sente che assorbe, che attira, con una forza lenta, invincibile, che distrugge senza fatica ogni tua resistenza.”

“A nessuno la terra è amica quanto al soldato. Quando vi si aggrappa, lungamente, violentemente; quando con il volto e con il corpo si lascia avvolgere dalla terra nell’angoscia mortale del fuoco, allora essa è il suo unico amico, suo fratello, sua madre; nel silenzio della terra egli soffoca il suo terrore e le sue grida, essa lo accoglie nel suo rifugio, poi lo lascia andare, perché viva e corra per altri dieci secondi, e poi lo abbraccia di nuovo, e spesso per sempre.
Terra, terra, terra.
Terra, con le tue pieghe, con le tue buche, con i tuoi avvallamenti in cui ci si può gettare, sprofondare. Terra, nello spasimo dell’orrore, tra gli spettri dell’annientamento, nell’urlo mortale delle esplosioni, tu ci hai dato l’immenso contraltare della vita riconquistata! La corrente della vita, quasi distrutta, è rifluita da te attraverso le nostre mani, così che noi salvati in te ci siamo sepolti, e nella muta ansia del momento superato ti abbiamo morso con le nostre labbra!”

“Se ci si fosse lasciati guidare dal ragionamento, a quest’ora saremmo un mucchio di carne sparpagliato: è stato l’altro che, oscuramente vigile in noi, ci ha buttati a terra e salvati senza che noi capiamo come. Se questo altro non fosse, da un pezzo, tra le Fiandre e i Vosgi, non vi sarebbero più creature viventi.
Noi partiamo soldati allegri o brontoloni; quando giungiamo nella zona del fuoco siamo diventati una razza belluina.”

“Nebbia e fumo di artiglieria coprono bassi i prati, all’altezza dei nostri petti. Sopra splende la luna. Sulla strada passano altre truppe. Gli elmetti di acciaio brillano con pallidi riflessi nella luce lunare. Le teste e i fucili emergono dalla nebbia; teste chine, armi che ondeggiano.”

“Accanto a noi è distesa una recluta spaurita con i capelli biondi come stoppa. Si stringe la faccia tra le mani, l’elmetto gli è scivolato via. Glielo ripesco e voglio cacciarglielo sulla testa. Il ragazzo mi guarda, respinge l’elmetto e si rannicchia come un bambino sotto il mio braccio, contro il mio petto. Le sue spalle tremano, esili come quelle del povero Kemmerich.”

“Non mi è mai accaduto di udire cavalli gridare, e quasi non ci posso credere; quella che geme laggiù è tutta la miseria del mondo, è la povera creatura martirizzata, un dolore selvaggio, atroce, che ci fa impallidire.”

“Ci sediamo e ci turiamo le orecchie. Ma quell’orribile lamento, quel gemere, quel pianto, penetra dovunque, e si ode sempre.
Tutti abbiamo imparato a sopportare qualcosa: ma qui il sudore ci cola dalla fronte. Vorremmo alzarci e fuggire, non importa dove, solo per non udire più quelle grida. Eppure non sono uomini, ma soltanto cavalli.”

“Proprio all’ultimo istante. Nell’oscurità si scatena un delirio, tutto ondeggia e infuria. Cose nere, più nere della notte, precipitano gigantesche su di noi, passano sopra di noi. Il fuoco delle esplosioni getta sprazzi di luce sul cimitero. Non c’è scampo da nessuna parte. Nel lampeggiare delle granate arrischio un’occhiata ai prati: sembrano un mare in burrasca, le vampe dei colpi saltano su come getti di fontana. E’ escluso che si possa attraversare senza essere colpiti.
Il boschetto scompare, strappato, stravolto, stracciato.”

“Ha la bocca spalancata e urla, ma io non sento nulla: continua a scrollarmi, si avvicina; e in un momento di minor rumore, le sue parole mi raggiungo: Gas! Gas! Gas! Passa la voce!”

“Quei primi momenti con la maschera calata decidono della vita e della morte: sarà impenetrabile? Ho presenti le orribili immagini dell’ospedale: i soldati asfissiati che, soffocando giorno per giorno, vomitano pezzo per pezzo i polmoni bruciati.”

“”Ho la testa che ronza e rimbomba sotto la maschera, pare che debba scoppiare. I polmoni sono affaticati, hanno solo e sempre la medesima aria calda e viziata; le arterie delle tempie si gonfiano, crediamo di soffocare.”

“Aspetto qualche secondo, l’uomo non stramazza al suolo, si guarda intorno e fa qualche passo: vuol dire che il vento ha disperso il gas, che l’aria è libera. Allora rantolando strappo anch’io la maschera e cado lungo disteso; l’aria fluisce in me come una corrente di acqua gelata, gli occhi mi vogliono schizzare fuori dalle orbite, l’onda mi sommerge e per un momento perdo conoscenza.”

“Kat si guarda intorno e mormora: Non sarebbe il caso di prendere una pistola e farlo smettere di soffrire?
Ci sono poche probabilità che il ragazzo possa sopportare il trasporto e in ogni caso non sopravvivrà che pochi giorni. Ma tutto quello che ha sofferto fin qui è nulla rispetto al tempo che gli rimane da passare prima di morire. Ora è intontito, non sente niente, ma fra un’ora sarà un groviglio gemente di insopportabili sofferenze. i giorni che può ancora vivere non saranno per lui che una delirante tortura. E a chi giova che questi giorni li viva o no?”

“Torniamo indietro, silenziosi, in fila indiana. I feriti sono trasportati all’ambulanza. Il mattino è torbido e grigio, i portaferiti corrono qua e là con numeri e foglietti, i feriti si lamentano. Comincia a piovere.”

“Monotoni traballano gli autocarri, monotone si alternano le grida, monotona scende la pioggia. Scorre sulle nostre teste, e lì davanti sulle teste dei morti, e sul corpo della piccola recluta con la ferita troppo grande per il suo esile fianco; e scorre sulla tomba di Kemmerich, scorre sui nostri cuori.”

“E’ penoso uccidere un singolo pidocchio, quando se ne hanno addosso centinaia. Le bestiole sono piuttosto dure e alla lunga diventa noioso quel perpetuo schiacciarle con le unghie.”

“Di tutta questa roba non ricordiamo granché. Vero è che non ci è servita a nulla. A scuola invece nessuno ci ha insegnato come si accenda una sigaretta sotto la pioggia e il vento, come si faccia prendere fuoco a un fascio di legna bagnata; oppure anche che la baionetta a uno conviene cacciargliela nella pancia, perché lì non resta conficcata come tra le costole.”

“…vorrei, quando sento parlare di pace, che se fosse davvero così, vorrei fare qualcosa di straordinario, e il solo pensiero mi dà alla testa. Qualcosa, capisci, per cui valga la pena essere stati qui, tanto tempo nel fango. ma non riesco a immaginare niente. Quello che mi sembra possibile – professione, studi, stipendio, eccetera – mi dà nausea: tutta roba che c’era già prima, ne ho schifo. Non trovo nulla, Albert.
E improvvisamente tutto ciò mi sembra così vuoto e desolante.”

E’ il destino comune della nostra generazione.
Albert sintetizza il tutto: La guerra ci ha guastati per sempre.
ha ragione: non siamo più giovani, non ci interessa più dare l’assalto al mondo. Siamo dei profughi, fuggiamo da noi stessi. Avevamo diciott’anni, e cominciavamo ad amare il mondo e l’esistenza: ci hanno costretti a spararle contro. La prima granata ci ha colpiti al cuore. Siamo esclusi ormai dall’attività, dal lavoro, dal progresso, non ci crediamo più. Crediamo nella guerra.”

“Questo sì, lo abbiamo imparato: giocare a carte, bestemmiare e fare la guerra. Poco, a vent’anni… Troppo, a vent’anni.”

“L’artiglieria del fronte avvolge del suo rombo il nostro rifugio. La luce della fiamma tremola sui nostri volti, le ombre danzano sulle pareti. Ogni tanto giunge una sorda detonazione, e la capanna trema. Bombe dagli aerei. Una volta udiamo grida soffocate: una baracca deve essere stata colpita in pieno.

“Così ce ne stiamo seduti l’uno di fronte all’altro, io e Kat, due soldati in giubbe logore intenti ad arrostire un’oca in piena notte. Non parliamo molto; eppure abbiamo l’uno per l’altro maggiori attenzioni di quante credo possano averne due innamorati. Siamo due uomini, due minuscole scintille di vita, e fuori è notte e regna la morte. Noi le sediamo accanto, minacciati e nascosti, le nostre mani sono coperte di grasso, nei nostri cuori ci sentiamo vicini e l’ora è come il luogo: luci e ombre delle nostre sensazioni oscillano qua e là con la fiamma del nostro fuocherello.”

“Un piccolo soldato e una voce benevola, e se gli faceste una carezza, forse non vi capirebbe più: ha gli scarponi ai piedi e il cuore pieno di terra; e marcia così, e ha tutto dimenticato fuorché il marciare. Non sono forse fuori quelli all’orizzonte, e un paesaggio così quieto che gli viene voglia di piangere, al soldato? Non ci sono forse là immagini che lui non ha perduto perché non le ha mai possedute? Immagini che lo turbano, ma che per lui sono passate via? Non sono forse là i suoi vent’anni?”

“La prima linea è una gabbia in cui si attende nervosamente ciò che sta per avvenire. Siamo stesi sotto la traiettoria incrociata delle granate, nella tensione dell’ignoto. Sopra di noi sta sospeso il caso. Quando arriva un colpo tutto quello che posso fare è ripararmi la testa; dove cadrà non posso saperlo con precisione, né posso intervenire.”

“Per puro caso posso essere colpito e per puro caso rimanere in vita. In un rifugio a prova di bomba posso essere schiacciato e allo scoperto posso resistere incolume a dieci ore di fuoco tambureggiante. I soldati rimangono in vita soltanto per casualità; perciò ciascuno crede e ha fiducia nel caso.”

“Ma arriva l’alba senza che accada nulla. Solo quell’eterno rullare lontano che logora i nervi: convogli su convogli, autocarri su autocarri; che diavolo stanno concentrando? La nostra artiglieria li bersaglia di continuo, ma quel rumore non cessa mai, non cessa mai.”

“E’ mattina, e ora al fuoco delle artiglierie si mescola l’esplosione delle bombarde. E’ la cosa più folle, più impressionante che si possa pensare. Dove cadono, le bombarde creano una fossa comune.”

“E di nuovo bisogna aspettare, e aspettare… Durante la mattinata succede quello che già prevedevo. Una delle reclute ha una crisi. Da un pezzo mi ero accorto che digrignava i denti continuamente e serrava i pugni, e lo tenevo d’occhio. Li conosciamo bene, questi occhi disperati che sembrano schizzare dalle orbite! Solo in apparenza in queste ultime ore si era fatto più quieto: ma ora è crollato su se stesso come un albero marcio.”

“E’ un attacco di ansia da trincea, gli pare di soffocare e l’unico impulso è quello di uscire. Se lo lasciassimo fare, correrebbe allo scoperto senza ripararsi, chissà dove. Non sarebbe il primo.”

“Questo fuoco tambureggiante è troppo per i nostri poveri ragazzi: sono piombati direttamente dal deposito in questa carneficina che farebbe imbiancare i capelli anche a un anziano.”

“Un’altra notte. La tensione ci ha intontiti. E’ una tensione mortale, che come un coltello male affilato ci graffia di continuo lungo la schiena. Le gambe non reggono più, le mani tremano, il corpo è come una epidermide sottile tesa sopra un delirio faticosamente represso, sopra un urlo interminabile che sta per prorompere senza ritegno. Non abbiamo più né carne né muscoli, non osiamo più nemmeno guardarci in faccia per paura di qualcosa di imprevedibile. Così stringiamo le labbra… passerà… deve… forse la scampiamo.”

“Il fuoco tambureggiante è finito, dietro di noi invece si intensifica quello di sbarramento. Siamo all’attacco.”

“Siamo diventati belve pericolose: non combattiamo, ci difendiamo dall’annientamento.”

“Il fuoco si sposta di cento metri in avanti e subito balziamo fuori di nuovo. Accanto a me, a un caporale viene tagliata la testa di netto. Fa ancora alcuni passi avanti mentre il sangue gli zampilla dal colle come una fontana.”

“Oh, quel ritornare all’attacco! Si è giunti al riparo nelle posizioni di riserva, si vorrebbe penetrarvi carponi, sparire; e invece bisogna girarsi e ritornare indietro, nell’orrore! Se in questo momento non fossimo degli automi, rimarremmo sdraiati, esauriti, privi di volontà. Invece siamo trascinati nuovamente in avanti, privi di volontà eppure selvaggi folli e furiosi; vogliamo uccidere poiché quelli di là sono ora i nostri nemici mortali, e i loro fucili, le loro granate sono diretti contro di noi, e se non li sterminiamo, stermineranno noi.”

“E’ l’ora della benedizione. Arriva la notte, dai camminamenti scende la nebbia. Le buche sembrano riempirsi di misteri spettrali. Il bianco vapore striscia ovunque timoroso, prima di avere il coraggio di sormontare i parapetti. Poi, lunghe strisce si stendono di buca in buca.”

“Non c’è silenzio al fronte, e il dominio del fronte giunge così lontano che non ne usciamo mai. Anche nei depositi arretrati e nei quartieri di riposo il ronzio e il sordo brontolio del fuoco persistono nelle nostre orecchie. Non siamo mai così lontani da non sentirlo più.”

“Quelle cose care sono esistite, ma non torneranno mai più.”

“Non siamo più spensierati, ma atrocemente indifferenti. Saremmo lì, ma sapremmo viverci? Abbandonati come bambini, disillusi come anziani, siamo rozzi, tristi, superficiali. Io penso che siamo perduti.”

“I miei pensieri non resistono senza un po’ di consolazione, senza un po’ di illusione, si confondono davanti alla nuda immagine della disperazione.”

“Le giornate sono calde, e i morti non hanno sepoltura. Non possiamo raccoglierli tutti, non sapremmo dove portarli. Alla fine li sotterrano le granate. Alcuni hanno le pance gonfie come palloni. Gorgogliano, ruttano e si muovono: è il gas di cui sono pieni.
Il cielo è azzurro e senza nubi. La sera è afosa, e dalla terra sale la calura. Quando il vento soffia dalla nostra parte, porta l’odore del sangue, greve, dolciastro, nauseabondo; questo miasma di morte delle trincee, che pare un misto di cloroformio e di putrefazione, ci causa malessere e vomito.”

“I topi ora ci lasciano in pace: sono andati più avanti e sappiamo bene perché. Diventano grossi: appena ne vediamo uno, lo mandiamo via a colpi di fucile.”

“I loro volti smorti e ossuti, con la barba come una lanugine, hanno l’atroce assenza di espressione dei bambini morti.”

“Fuoco tambureggiante, fuoco di interdizione, cortina di fuoco, bombarde, gas, carri armati, mitragliatrici, bombe a mano: sono parole, parole, ma racchiudono tutto l’orrore del mondo.
Abbiamo i volti incrostati di fango, i pensieri confusi, siamo stanchi morti.”

“Vediamo vivere uomini a cui manca il cranio; vediamo correre soldati a cui un colpo ha falciato via entrambi i piedi e che incespicano, sui moncherini feriti, fino alla buca più vicina; un caporale percorre due chilometri sulle mani, trascinandosi dietro le ginocchia fracassate; un altro va al posto di medicazione premendo le mani contro gli intestini che traboccano; vediamo uomini senza bocca, senza mandibola, senza volto; troviamo uno che da due ore tiene stretta con i denti l’arteria del braccio per non dissanguarsi; il sole si leva, viene la notte, fischiano le granate, la vita giunge al termine. Ma quel pezzetto di terra sconvolta sul quale stiamo viene mantenuto contro i nemici più forti di noi: abbiamo ceduto solo poche centinaia di metri. Ma per ogni metro c’è un morto.”

“Tutto è questione di abitudine, anche la trincea.”

“Finché siamo qui in guerra, ogni giornata al fronte, a mano a mano che termina, precipita come una pietra nel profondo di noi stessi, troppo pesante per poterci riflettere subito. Se lo facessimo, ciascun giorno che finisce ci ucciderebbe; ho sempre osservato che l’orrore si può sopportare finché lo si evita semplicemente: ma uccide, quando ci si ripensa.”

“E io so che tutto ciò che affonda in noi, come una pietra, finché siamo in guerra, risalirà alle nostre menti a guerra finita, e solo allora comincerà la resa dei conti sulla vita e sulla morte.
I giorni, le settimane, gli anni trascorsi in trincea ritorneranno, e i nostri camerati morti si alzeranno e marceranno al nostro fianco. Avremo la mente limpida e uno scopo; e così marceremo, con i nostri morti accanto a noi e con gli anni al fronte dietro le nostre spalle: ma contro di chi, contro chi?”

“Sopra le nostre teste ondeggia una densa nuvola di fumo. Che cosa sarebbe il soldato, senza tabacco!”

“E’ terribile, vero, laggiù, Paul?
Mamma, che cosa dovrei risponderti? Non capirai, non potrai mai capire. Non devi capire. Mi chiedi se è terribile, mamma. Io scuoto la testa e rispondo: No, mamma, non tanto. Siamo in tanti, non è così male…”

“Che ne sarebbe di noi, se avessimo chiara la visione di ciò che avviene laggiù!”

“Oggi mi accorgo che senza rendermene conto mi sono logorato. Non mi sento più a mio agio qui; è un mondo estraneo. Alcuni mi interrogano, altri noi, ma in faccia a questi ultimi si vede che se ne fanno un merito; anzi qualcuno dice, con aria da saggio, che non si deve parlare. E’ tutta ostentazione.”

“Come può esistere tutto ciò, mentre laggiù le schegge sibilano sui camminamenti e i razzi solcano il cielo, e i feriti sono portati via sui teli da tenda e i compagni si rannicchiano nelle trincee?”

“I libri sono uno accanto all’altro. Li riconosco, ricordo l’ordine in cui li ho disposti. Con lo sguardo li supplico: parlatemi – prendetemi con voi – prendimi con te, vita di un tempi – vita spensierata, bella – riprendimi…
E aspetto, aspetto.”

“Mi alzo e, stanco, guardo fuori dalla finestra. Poi prendo in mano uno dei libri e lo sfoglio con l’intenzione di leggere. ma subito lo ripongo e ne prendo un altro. Vi sono dei brani sottolineati. Cerco, sfoglio, prendo sempre nuovi libri; ormai nei ho un mucchio vicino a me. Ne prendo altri, affannosamente, e carte, quaderni, lettere.”

“Che cos’è la licenza? Una sosta che rende poi tutto più doloroso. Già ora vi si mescola il pensiero dell’addio. Mia madre mi guarda in silenzio – conta i giorni, lo so – ogni mattina è più triste. Un altro giorno in meno. Ha nascosto il mio zaino perché non vuole che le ricordi la mia partenza…”

“Quando si sono visti tanti morti, non si riesce più a comprendere un così grande dolore per un morto solo.”

“Ah, mamma mamma! Per te sarò sempre un bambino… Perché non posso appoggiare la testa sul tuo grembo, e piangere? Perché devo essere sempre il più forte e il più controllato, mentre vorrei anch’io una volta piangere e farmi consolare? Sono davvero poco più che un bambino, i miei calzoni corti stanno ancora appesi nell’armadio, è passato così poco tempo: perché tutto ciò se ne è andato per sempre?”

“Quelle voci, quelle poche parole sommesse, quei passi nella trincea mi strappano di colpo all’orribile solitudine, alla paura di morire alla quale stavo per cedere. Sono più che la mia vita, quelle voci: sono più che l’amore e l’ansia materna; sono la cosa più fortificante e protettrice che vi sia: sono le voci dei miei camerati.”

“Perdonami, compagno! Noi vediamo queste cose sempre troppo tardi. Perché non ci hanno mai detto che voi siete poveri cani proprio come noi, che le vostre mamme sono in angoscia per voi, come le nostre per noi, e che abbiamo lo stesso terrore e la stessa morte e la stessa sofferenza… Perdonami, compagno, come potevi tu essere mio nemico?”

“Dev’essere tutto falso e inconsistente, se migliaia di anni di civiltà non sono nemmeno riusciti a impedire che scorressero questi fiumi di sangue, che esistessero migliaia di queste prigioni di tortura. Soltanto l’ospedale mostra che cosa è la guerra.
Io sono giovane, ho vent’anni, ma della vita non conosco altro che la disperazione, la morte, il terrore e la insensata superficialità unita a un abisso di sofferenze. Io vedo dei popoli spinti l’uno contro l’altro, e che senza una parola, inconsciamente, stupidamente, in una incolpevole obbedienza si uccidono a vicenda. Io vedo i più acuti intelletti del mondo inventare armi e parole perché tutto questo si perfezioni e duri più a lungo. E con me lo vedono tutti gli altri uomini della mia età, da questa parte e da quell’altra del fronte, in tutto il mondo. Lo vede e lo vive la mia generazione. Che faranno i nostri padri, quando un giorno sorgeremo e andremo davanti a loro a chiedere conto? Che cosa si aspettano da noi, quando verrà il tempo in cui non vi sarà guerra? Per anni e anni la nostra occupazione è stata quella di uccidere; è stata la nostra prima professione nella vita. Il nostro sapere della vita si limita alla morte. Che accadrà dopo? Che ne sarà di noi?”

“Estate 1918: mai la vita, pure in questa sua così miseranda parvenza, ci è sembrata più desiderabile di ora. papaveri rossi sui prati intorno ai nostri baraccamenti, lucidi insetti sui fili d’erba, calde serate nelle camere semibuie e fresche, alberi neri e misteriosi nel crepuscolo, stelle e fluire di acque, sogni e lunghi sonni. Oh vita, vita, vita!”

“Se fossimo tornati a casa nel 1916, dal dolore e falla forza delle nostre esperienze si sarebbe sprigionata la tempesta. Ritornando ora, siamo stanchi, depressi, consumati, privi di radici, privi di speranze. Non potremo mai più riprendere il nostro equilibrio. E neppure ci potranno capire.”

“Mi alzo: sono contento. Vengano i mesi e gli anni, non mi porteranno via più nulla. Sono tanto solo, tanto privo di speranza che posso guardare dinanzi a me senza timore. La vita, che mi ha fatto attraversare questi anni, è ancora nelle mie mani e nei miei occhi. Se io abbia saputo dominarla, non so. Ma finché dura, si cercherà la sua strada, vi consenta o non vi consenta quell’essere che nel mio interno dice “io”.

Stella – Takis Wurger

“Nel 1922 un giudice condannò Adolf Hitler a tre mesi di carcere per turbativa dell’ordine pubblico, un ricercatore inglese scoprì la tomba di Tutankhamon, James Joyce pubblicò l’Ulisse, Iosif Stalin venne eletto segretario generale del Partito comunista dell’Unione Sovietica, e io venni al mondo.”

“In soffitta ho imparato a riconoscere dall’odore il rosso di cadmio e il giallo Napoli e cosa si prova a venire picchiati con una bacchetta di rattan intrecciata.”

“La paura, dovevo ancora conoscerla.”

“La colpa non esiste – rispose lui.”

“Si può cadere soltanto da soli, pensai.”

“Quella sera mio padre mi mandò a chiamare. Quando era a casa se ne stava per lo più seduto in biblioteca. Leggeva volentieri e a lungo, romanzi russi, filosofia orientale, haiku.”

“Papà, perché è così bello cadere?”

“Il silenzio divenne il mio modo di piangere.”

“La verità. Hai detto che bisogna sempre dire la verità. Ma sulla mamma, menti.”

“La verità, figliolo, è come l’ibisco. Un giorno lo capirai.”

“In estate avevo sentito i garzoni di stalla parlare dei locali notturni segreti a Berlino, di prostituti di strada, di cocaina, di una fontana d’avorio in un Grand Hotel e di una ragazza nera che cantava su una carrozza trainata da uno struzzo.”

“Berlino sapeva di carbone, di sapone di resina, di gasogeni trasportabili, di cera per pavimenti e di barbabietole cotte.”

“Da lontano i tedeschi mi erano sembrati grandi, da vicino erano piccoli come me. Grande era solo la scenografia, le bandiere soprattutto. Le bandiere tedesche erano gigantesche.”

“Mostrami come un uomo tratta gli animali, e ti dirò se ha il cuore al posto giusto – disse.”

“Altri vedono il buio. Io vedo la bellezza.”

“Quando penso a quel giorno, la prima cosa che mi viene in mente è la luce. La luce di Berlino è spesso terza e fredda. Solo per pochi giorni, all’inizio della primavera, splende come in quel giorno. Ma probabilmente è così che voglio ricordarla.”

“Non ero in grado di opporre alcuna resistenza a quella donna. Respirava forte e mi teneva la mano. Era calda e morbida.”

“Come ho potuto essere così ingenuo?
Ma non è forse una domanda che ci si pone sempre, quando si guarda al passato?”

“Pensavo a quanto sarebbe stato bello se fossimo state le uniche persone al mondo.”

“Ce la faremo. L’aveva detto mio padre. Ogni giorno in Germania mi ero attenuto a quelle parole e mi comportavo come se potessi convivere con quanto, in quel paese, accadeva agli ebrei. Avevo sopportato le bandiere con la svastica, avevo sopportato che mi salutassero con il braccio destro teso urlandomi addosso. In quel momento mi resi conto che era sbagliato.”

“Stella andò al banco, ordinò due Berliner Kindl. Stavamo tutti stretti e bevemmo in silenzio. La birra sapeva di detersivo per piatti. Era birra del tempo di guerra, a bassa gradazione alcolica.”

“C’è un motivo per cui facciamo quello che facciamo, mia cara?”

“Facciamo quello che facciamo perché non possiamo fare diversamente.”

“Forse è la debolezza che ci porta a far male agli altri.”

“Quella donna recitava così tanti ruoli, la modella nuda, la cantante con la voce sottile, la bellezza quando era distesa nella vasca da bagno, la penitente, la bugiarda, la vittima e la colpevole. Stella Goldshlag, la donna predatrice, la mia donna.
Non so se sia sbagliato tradire una persona per salvarne un’altra.
Non so se sia giusto tradire una persona per salvarne un’altra.”

“Eravamo soli al mondo.”

“Non sapevo che cosa sarebbe rimasto di quella donna una volta che fossero cadute tutte le menzogne.”

“Finalmente capii. C’è un momento, in ogni amore, in cui è troppo tardi per le risposte.”

“Quando il treno si mise in movimento pensai alla vita che non avrei avuto.”

“Alla fine della mia vita avrei voluto misurare la mia felicità non dall’amore che avevo ricevuto, ma da quello che ero riuscito a dare. Avrei potuto tentare di dimenticarla. La vita ci rende bugiardi.”

“Papà aveva torto. La colpa esiste.”

Homo faber – Max Frisch

“Decollammo da New York, La Guardia, con tre ore di ritardo per via delle bufere di neve. Il nostro apparecchio era un Super Costellation, come sempre su questa tratta.”

“Ero contento di essere solo.”

“Era strano; all’improvviso tutto andava anche senza di me!”

“Ma perché mai fatalità? Non ho bisogno della mistica per considerare l’improbabile come un fatto empirico; mi basta la matematica.”

“Se parliamo del probabile, l’improbabile vi è già compreso come caso limite del possibile, e se questo occasionalmente si produce non dev’essere per noi motivo di stupore, di sgomento o di mistificazione.”

“Mi piacciono gli scacchi perché si può fare a meno di parlare per ore. Si può anche fare a meno di ascoltare quando l’altro parla. Si guarda la scacchiera e non si è affatto scortesi se non si mostra il minimo desiderio di conoscersi personalmente, ma si è concentrati solo sulla partita.”

“L’intera notte puzzava.”

“Sospesi sulle amache, una birra sempre a portata di mano, sudando come se il sudore fosse lo scopo della nostra vita, incapaci di prendere qualsiasi decisione e in realtà più che contenti perché la birra è ottima, Yucateca, meglio della bitta che si trovava sull’altopiano, ce ne stavamo sospesi sulle nostre amache e bevevamo per poter continuare a sudare, e io non sapevo cosa volessimo in realtà.”

“Io la chiamavo sognatrice e fata dell’arte. In cambio lei mi chiamava: Homo faber.”

“Era di nuovo un puro caso a decidere il futuro, nient’altro.”

“La sua supposizione che io fossi triste perché ero solo mi indispose. Sono abituato a viaggiare da solo. Vivo, come ogni vero uomo, nel mio lavoro. E non voglio nemmeno che non sia così, mi considero fortunato a vivere da solo, a mio avviso l’unica condizione possibile per un uomo, mi piace svegliarmi da solo e non dover dire una parola. Dov’è la donna che lo capisce?”

“Io non sono cinico. Io sono solamente quello che le donne non sopportano, assolutamente concreto.”

“Essere solo è l’unica condizione possibile per me, perché non sono disposto a rendere infelice una donna, e le donne hanno la tendenza a diventare infelici.”

“…per me la gente è una fatica…”

“Odio il senso di inferiorità.”

“Sono sempre i moralisti che causano le disgrazie maggiori.”

“Quello che mi godetti: Campari!”

“Sabeth mi ascoltava parlare delle mie esperienze, ma come si ascolta un vecchio: senza interrompere, gentilmente, senza credere, senza entusiasmarsi.”

“Un qualche futuro, pensavo, c’è sempre, il mondo non è mai fermato così, la vita va avanti.”

“The American Way of Life!
La mia decisione di vivere diversamente.”

“The American Way of Life:
Già quello che mangiano e bevono, questi visi pallidi che non sanno cos’è il vino, questi divoratori di vitamine che bevono tè freddo e masticano ovatta e non sanno cos’è il pane, questo popolo della Coca-Cola che non riesco più a sopportare –
Ma vivo dei loro soldi!”

“Le sue mani che non ci sono più da nessuna parte, il suo gesto di buttarsi i capelli indietro sulla nuca o di pettinarsi, i suoi denti, le sue labbra, i suoi occhi che non ci sono più da nessuna parte, la sua fronte: dove devo cercarla? Vorrei solo non essere mai stato.”

“Essere eterni: essere stati.”

“Hanna ha sempre saputo che sua figlia un giorno l’avrebbe lasciata; ma nemmeno Hanna poteva presagire che in quel viaggio Sabeth avrebbe incontrato proprio suo padre, che avrebbe distrutto tutto.”

La misura del mondo – Daniel Kehlmann

“Nel settembre 1828 il professor Gauss, il più illustre matematico del paese, lasciò per la prima volta dopo anni la città natale per partecipare al Congresso degli scienziati tedeschi a Berlino. Ovviamente non aveva nessuna voglia di andarci. Per mesi aveva rifiutato, ma Alexander von Humboldt si era intestardito e Gauss aveva accettato in un momento di debolezza e nella speranza che quel giorno non arrivasse mai.”

“E’ bizzarro e ingiusto, disse Gauss, il fatto che si nasce in una determinata epoca e, volenti o nolenti, vi si resta imprigionati: un esempio calzante della penosa accidentalità dell’esistenza. Così uno ha un vantaggio spropositato rispetto al passato e diventa lo zimbello del futuro.”

“Una coppia di fratelli, aveva risposto il poeta, che rispecchia la molteplicità delle ambizioni umani, laddove dunque le ricche possibilità di azione e diletto si concretizzano nel modo più esemplare, è uno spettacolo teso a colmare di speranza i sensi e di svariate riflessioni lo spirito.”

“E l’orrore, diceva Kunth, è necessario. L’incontro con le forze oscure è una tappa obbligata del processo di crescita…”

“Quando si ha paura delle cose, bisogna misurarle.”

“Decidi tu se ci vuoi riuscire o meno, e poi attieniti a quello che hai stabilito, è facile no?”

“Si nasce per scopi ben più nobili che il semplice stare al mondo. La vita da sola non è il contenuto dell’esistenza.”

“Forster era circondato da un alone di malinconia simile a una nebbia sottile. Disse di aver visto troppo. Di questo parla l’allegoria di Ulisse e le sirene. Non serve a niente farsi legare all’albero maestro. Anche chi torna indietro non si riprende mai dalla vicinanza dell’estraneo.”

“Ho scoperto che l’uomo è capace di subire delle lesioni, ma spesso non giunge a una conoscenza più profonda perché teme il dolore. Ma chi si sottopone alla sofferenza fisica comprende delle cose, che altrimenti…”

“Una collina di cui non conosce l’altitudine è un’offesa per la ragione e mi inquieta. Senza esaminare costantemente la propria posizione, nessun uomo può progredire. Non si lascia ai margini del proprio cammino un mistero, per quanto insignificante.”

“Il mondo deve conoscermi.”

“”Le cose si conservano nella memoria e solo con la riflessione una persona riesce a sistemarle in un ordine temporale.”

“In quel momento si rese conto che nessuno vuole fare uso della ragione. La gente vuole solo stare tranquilla. Vuole mangiare e dormire, e vuole che gli altri siano gentili. Non vuole pensare.”

“Se si affronta un problema senza pregiudizi e senza essere schiavi della forza dell’abitudine, la soluzione si trova da sé.”

“Conoscere, mio povero Bartels, è disperazione. Perché, Bartels? Perché il tempo scorre sempre via.”

“Non voleva più scendere. Sempre più su, e ancora più su, fino a che non ci fosse stata più nessuna terra sotto di loro. Un giorno altri avrebbero vissuto quell’esperienza. Tutti avrebbero volato, sarebbe stato normale, ma lui sarebbe stato morto.”

“Si vuole sapere, disse Humboldt, perché si vuole sapere.”

“la luce, esclamò Humboldt, non è il chiarore, ma la conoscenza!”

“Giacché ci troviamo al mondo senza che nessuno ce lo abbia chiesto, tanto vale provare a realizzare qualcosa.”

“Navigavano lungo l’Orinoco. Il letto del fiume era così ampio che uno poteva pensare che si stava dirigendo verso il mare aperto: distanti, in lontananza, come un miraggio, si stagliavano i boschi dell’altra riva. Non c’erano più uccelli acquatici. Il cielo sembrava bruciare per il calore.”

“Un pipistrello si staccò dalla parete, rimase invischiato nella tempesta, fu schiacciato dalla pioggia e dopo un paio di battiti dalla venne trasportato via dall’acqua.”

“Sapere è doloroso. Non passava giorno senza che si augurasse di avere meno conoscenza.”

“Senza far rumore, aprì la porta. Di questo si tratta, pensò. Continuare a vivere anche quando tutto è finito. Disporre, organizzare, ogni giorno, ogni ora, ogni minuto. Come se avesse ancora senso.”

“Chi viaggia in posti lontani, disse, apprende molte cose. Qualcuna anche su se stesso.”

“La vera tirannia è quella delle leggi di natura.”

“Invecchiare: non era niente di tragico. Era ridicolo.”

“Uomini come insetti, accampati in alveari, alla ricerca di lavori umili, che facevano figli e morivano.”

“Un uomo da solo seduto alla sua scrivania. Un foglio di carta, tutt’al più un cannocchiale davanti alla finestra con un cielo terso. E quest’uomo che non si arrende fino a quando non capisce. Forse quella era scienza.”

“Niente di ciò che qualcuno aveva misurato una volta poteva mai più essere come prima.”

Klein e Wagner – Hermann Hesse

“Nel direttissimo, dopo il vorticoso susseguirsi degli eventi, la fuga, il passaggio del confine, dopo un turbinio di tensioni e avvenimenti, di emozioni e pericoli, ancora profondamente sorpreso che tutto fosse andato bene, Friedrich Klein sprofondò completamente in se stesso.”

“…ma questo bel pensiero era come un uccello morto cui un bambino soffia sulle ali. Non è vivo, non apre gli occhi, cade di mano, non dà nessun piacere, nessun lampo, nessuna gioia.”

“Si, era meglio guidare e andare a sbattere da soli, che essere sempre condotti e indirizzati da un altro.”

“Si, era stato giovane anche lui, e non un ragazzetto come gli altri, aveva coltivato sogni di grandezza, esigendo molto dalla vita e da se stesso. Ma da allora, nient’altro che polvere e fardelli, una lunga strada, calura e ginocchia stanche; solo nel cuore, che si stava inaridendo, osava persistere una certa nostalgia, addormentata, invecchiata. Questa era stata la sua vita.”

“Si rese conto, con un brivido improvviso, di essere al sud.”

“Adesso Klein era in grado di vedere in quale direzione soffiasse il vento del suo destino. Portava lontano dal matrimonio, dall’ufficio, da quanto fino ad allora aveva costituito la sua vita e la sua patria. E portava a Sud!”

“Aveva sempre dovuto occuparsi di qualcos’altro che non fosse se stesso: aveva sempre avuto da fare, per provvedere al denaro, alla promozione in ufficio, alla pace in famiglia, alla scuola e alle malattie dei bambini; sovrastato com’era dai grandi e sacri doveri di cittadino, marito e padre, aveva sempre vissuto nella loro ombra e sotto la loro protezione, a loro aveva offerto sacrifici, da loro la sua esistenza aveva ricevuto una giustificazione e un senso. Adesso improvvisamente si trovava nudo, sospeso nell’universo, solo di fronte a sole e luna, e l’aria tutt’intorno gli pareva gelida e rarefatta.”

“Il destino, adesso lo sapeva, non veniva da lontano, cresceva dentro ciascuno di noi.”

“Improvvisamente sulle sue labbra spuntò il nome Wagner. Lo pronunciò senza accorgersene: Wagner… Wagner. Da dove veniva quel nome? Da quale pozzo? Che cosa voleva? Chi era Wagner? Wagner?”

“Davvero non era molto comprensibile? Non era giusto? Non era facile arrivare a capire che la responsabilità per l’esistenza dei figli poteva diventare insopportabile, altrettanto insopportabile del proprio essere e della propria esistenza, percepita soltanto come errore, soltanto come colpa e tormento?”

“C’erano sempre stati due Friedrich Klein, uno visibile e uno nascosto, un funzionario e un delinquente, un padre di famiglia e un assassino.”

“Il Sud rendeva la vita più facile. Confortava. Stordiva.”

“…se avesse deposto le catene e i travestimenti del decoro borghese.”

“…per quanto solo, sofferente e rassegnato, non aveva mai cessato di far parte di una schiera, di una folla, di una corporazione: del mondo delle persone rispettabili e per bene. Invece adesso, adesso assaporava la solitudine.”

“Gli Italiani scrivevano del suo popolo proprio come i giornali di casa sua avevano sempre fatto a proposito degli Italiani, con la stessa smania di giudicare, la stessa indignazione, la stessa infallibile sicurezza della ragione propria e del torto altrui!”

“In lui c’era di nuovo Wagner, c’era di nuovo il mondo del bello senza disciplina, dell’eccitazione senza segreti, senza paura, senza cattiva coscienza; ma in lui c’era anche un nemico che gli proibiva quel paradiso.”

“Ciò che conta è tutto dentro di noi, da fuori nessuno può aiutare. Non essere in guerra con se stessi, vivere d’amore e d’accordo con se stessi… allora tutto diventa possibile. Non solo camminare su una fune, anche volare.”

“Molti per un attimo provarono un impeto di pensosa tristezza, perché tra le loro vite e i loro istinti cera una tale contraddizione, un tale dissidio; perché la loro vita non era una danza, ma un faticoso ansimare sotto pesi che, in ultima analisi, si erano imposti da soli.”

“Un perfetto piccolo borghese, un uomo abituato a sfogare sugli altri la stizza per la propria incapacità.”

“Neanch’io lo sapevo; dicevo, pensavo, facevo, vivevo soltanto cose a me estranee, apprese, soltanto buone e giuste, finché un giorno ho smesso. Non ce la facevo più, dovevo andare via, il buono non era più buono, il giusto non era più giusto, la vita non era più sopportabile.”

“Lei vuole sbarazzarsi di quel monito e di me, trovando l’etichetta per potermi inquadrare.”

“Essere amati non è una fortuna. Tutti gli uomini si amano, eppure si tormentano per tutta una vita. No, essere amati non è una fortuna. Ma amare sì che è una fortuna!”

“Non ci si sente mai tanto abbandonati dal prossimo come quando dorme!”

“Si sedette sul bordo, con i piedi penzoloni nell’acqua. Si piegò lentamente in avanti, si piegò in avanti finché la barca non scivolò elastica dietro di lui. Era nel Tutto.”

“Ecco il risultato della sua vita, che illuminava tutto il suo essere: lasciarsi cadere.”

“Si ha paura di migliaia di cose, del dolore, dei giudici, del proprio cuore; si ha paura del sonno, paura del risveglio, paura della solitudine, del freddo, della follia, della morte: specialmente di quest’ultima, della morte. Ma sono tutte maschere, travestimenti. In realtà c’è una sola cosa di cui si ha paura: del lasciarsi cadere, di fare quel passo verso l’ignoto, quel passettino lontano da ogni sicurezza possibile.”

“Chi avesse imparato a non opporre resistenza, a lasciarsi cadere, sarebbe morto facilmente e facilmente sarebbe nato. Chi opponeva resistenza era succube della paura, moriva difficilmente e difficilmente nasceva.”

“Da tutto quanto l’uomo desiderava ardentemente era sempre il tempo a separarlo, solo questo tempo, questa superba invenzione! Era uno dei sostegni, una delle stampelle che più occorreva abbandonare se davvero si voleva essere liberi.”

Opinioni di un clown – Heinrich Boll

“Era già buio quando arrivai a Bonn. Feci uno sforzo per non dare al mio arrivo quel ritmo di automaticità che si è venuto a creare in cinque anni di continuo viaggiare: scendere, deporre la borsa da viaggio, levare il biglietto dalla tasca del soprabito, raccattare la valigia, consegnare il biglietto, dirigersi verso l’edicola dei giornali, comprare le edizioni della sera, uscire, far cenno a un taxi.”

“Sono un clown. Definizione ufficiale: attore comico, non pago tasse per nessuna Chiesa, ho ventisette anni e uno dei miei numeri si chiama Arrivo e partenza: una (quasi troppo) lunga pantomima in cui lo spettatore confonde arrivo e partenza sino alla fine.”

“C’è una medicina di effetto momentaneo: l’alcool.”

“Un clown che comincia a bere perde quota rapidamente, precipita più in fretta di un operaio ubriaco che cada da un tetto.”

“Restai coricato sul letto in uno stato che ogni tanto auspico per la fine dei miei giorni: ubriaco e come affondato nel fango.”

“Spesso Maria mi leggeva la Bibbia. Deve essere difficile credere a tutto questo.”

“Di notte, quando finalmente si stava tranquilli per una mezz’ora, si udivano sempre soltanto piedi in marcia: prigionieri di guerra italiani (a scuola ci era stato spiegato perché adesso gli italiani non erano più alleati e lavoravano invece da noi come prigionieri, ma fino a oggi non sono riuscito a capire come mai), prigionieri russi, donne prigioniere, soldati tedeschi. Piedi in marcia, tutta la notte. Nessuno sapeva esattamente che cosa succedesse.”

“Henriette con il cappellino blu e il sacco in spalla. Non ritornò più e non abbiamo mai saputo dove sia sepolta. Qualcuno venne da noi dopo la fine della guerra e annunciò che era caduta presso Leverkusen.”

“Io penso che i vivi sono morti e i morti sono vivi, ma non come lo intendono i cristiani e i cattolici.”

“Disse: Non puoi proprio dimenticare, eh? – Mi sentivo prossimo al pianto e risposi piano: Dimenticare? Dovrei farlo, mamma? – Lei tacque; udivo soltanto quel pianto di donna vecchia, così impressionante.”

“Prima di riattaccare udii che diceva ancora qualcosa a proposito di principi. Inoltre aveva l’odore di sempre: non sapeva di niente. Uno dei suoi principi: una signora non emana odori di nessun genere. Probabilmente per questa ragione mio padre ha un’amante così bella, che certo non emana alcun odore, ma a vederla sembra che debba odorar di buono.”

“E’ spaventoso quello che si agita nella testa dei cattolici. Non riescono neppure a bere un buon vino senza farci sopra una qualche elucubrazione, devono a qualunque costo sentirsi consapevoli di quanto è buono quel vino e perché. In quanto a consapevolezza, non sono da meno dei marxisti.”

“Forse per la prima volta in vita mia provavo il senso del ritmo quotidiano: dover fare delle cose per le quali non è più la voglia a decidere.”

“Neppure il demonio riesce ad avere gli occhi d’Argo che hanno i vicini di casa.”

“La città è davvero molto graziosa: la cattedrale, i tetti di quello che fu un tempo il castello dei principi elettori, il monumento a Beethoven, il piccolo mercato e lo Hofgarten. E’ il destino di Bonn, che non si creda al suo destino.”

“Che cosa vuoi, in conclusione?
Te – risposi e non so se vi sia qualcosa di più bello da dire a una donna.”

“Credo che nessuno al mondo capisca un clown, e neppure un clown capisce l’altro, entrano sempre in gioco l’invidia e la gelosia.”

“Fare il bagno è bello quasi quanto dormire, come dormire è bello quasi come fare la “cosa”. E’ Maria che l’ha chiamata così e io continuo sempre a pensarvi con le sue parole.”

“Non c’è niente di più deprimente per la gente di un clown che fa compassione. E’ come un cameriere che arriva sulla poltrona a rotelle a portarle la birra.”

“Io ho paura di sentirmi rivolgere la parola da tedeschi mezzo ubriachi di una determinata classe di età: parlano sempre della guerra, pensano che era magnifico e quando sono sbronzi del tutto salta fuori che sono degli assassini e che trovano che tutto non era poi così tremendo.”

“E’ una cosa che ho notato spesso nei cattolici: difendono i loro tesori – i sacramenti, il Papa – come degli avari. Inoltre sono la specie umana più presuntuosa che esista. Si fanno delle idee su tutto: su quello in cui la loro Chiesa è forte, su quello in cui è debole, e da chiunque ritengano appena mediocremente intelligente si aspettano che debba convertirsi.”

“Quando invece vorrei preparare in cucina qualcosa per me, mi sento perduto. La solitudine rende le mie mani maldestre e la necessità di usare l’apriscatole o di sbattere le uova nel tegame mi sprofonda nella più cupa malinconia.”

“La marca è ottima – rispose – ma il miglior cognac cessa di essere tale quando è ghiacciato.”

“Ti sembrerà certamente stupido ma ti voglio dire una cosa importante; disse – sai che cosa ti manca? Ti manca proprio quello che fa di un individuo un vero uomo: la capacità di farsi una ragione delle cose.”

“Uomini come mio padre devono sempre avere il meglio di ogni cosa: il miglior cardiologo del mondo, Drohmert, il miglior critico teatrale della Repubblica Federale, Genneholm, il miglior sarto, il miglior champagne, il miglior albergo, il miglior scrittore. Alla fine è noioso.”

“Era molto spiritoso, tutti sapevano che era spiritoso e quindi era costretto a essere sempre spiritoso. Un’esistenza mortalmente faticosa.”

“Che i critici siano critici non è il loro difetto peggiore: il peggio è piuttosto che davanti a se stessi siano così incapaci di autocritica e così privi di senso dell’umorismo. Penoso.”

“Mio padre annuì stancamente. Gli tesi le sigarette, ne prese una, gliela accesi. Mi faceva compassione. Dev’essere brutto per un padre trovarsi a parlare per la prima volta sul serio con il proprio figlio quando ha già quasi ventotto anni.”

“Ci sono pochissime persone che si hanno volentieri accanto quando si piange.”

“Mi riproposi di partire per Roma e chiedere anch’io di di essere ricevuto dal Papa. Anche lui, del resto, aveva qualcosa di un vecchio, saggio clown e dopotutto la figura di Arlecchino era nata a Bergamo.”

“Sua moglie è bella in un modo che non si capisce bene se è un essere vivente o soltanto una bambola con la molla caricata.”

“Quello che mi irritava particolarmente ai ricevimenti di mia madre era l’inoffensività degli emigranti rientrati in Germania. Erano così commossi da tutta quell’aria di pentimento e da quelle altisonanti dichiarazioni di democrazia che ogni incontro finiva sempre con grandi abbracci e proteste di fratellanza. Non capivano che il segreto dell’orrore sta nel particolare. E’ molto facile, un gioco da bambini, pentirsi di gravi colpe: errori politici, adulterio, assassinio, antisemitismo. Ma chi perdona un particolare, chi comprende i dettagli?”

“Una donna può con le sue mani esprimere tante cose, dare un’illusione di tante cose, che in confronto le mani maschili mi fanno sempre l’effetto di pezzi di legno. Le mani maschili sono mani che si stringono per salutare, mani che picchiano, naturalmente mani che sparano e mani che firmano. Stringere, picchiare, sparare, firmare assegni barrati: questo è tutto quello che le mani maschili sanno fare e… naturalmente lavorare. Le mani femminili non sono già quasi più mani, sia che spalmino il burro sul pane sia che liscino i capelli sulla fronte.”

“Vi sono attimi che hanno il valore di un rituale e che racchiudono in se il senso della ripetizione: come la signora Wieneken tagliava il pane.”

“Gli attimi bisognerebbe lasciarli così come si sono vissuti, mai tentare di ripeterli, di riviverli…”

“Per me non esiste nulla di più penoso di una donna che guarda amareggiata il marito perché è incinta.”

“Per la prima volta mi ero reso conto di quanto terribili possano essere gli oggetti che una persona lascia dietro di sé quando va via o quando muore.”

“La gente ricca riceve molti più regali di quella povera; e quello che deve proprio comprare, lo ha sempre molto più a buon prezzo.”

“Ma che tipo di uomo sei, in conclusione? – domandò Leo.
Sono un clown – dissi – e faccio raccolta di attimi. Ciao. . E riattaccai.”

“Mi spaventai quando la prima moneta cadde nel cappello: era un soldo, colpì la sigaretta, la sospinse troppo da parte. La rimisi al posto giusto e ripresi a cantare.”

Così parlò Zarathustra – Friedrich Nietzsche

“Quand’ebbe compiuto il trentesimo anno, Zarathustra lasciò la sua patria e il lago natio, e si recò su la montagna. Là per dieci anni gioi, senza stancarsene, del suo spirito e della sua solitudine. Ma al fine il suo cuore si mutò; e un mattino egli si levò con l’aurora, s’avanzò verso il sole e così gli disse: Oh grande astro! Che sarebbe della tua felicità se tu non avessi a chi splendere?”

“Questo vecchio santo nella sua foresta non ha saputo ancora che Dio è morto?”

“Io insegno a voi il superuomo. L’uomo è cosa che dev’essere superata. Che avete voi fatto per superarlo?
Tutti gli esseri umani crearono sinora qualche cosa oltre sé stessi: o voi volete essere il riflusso di questa grande marea e ritornare al bruto anziché oltrepassar l’uomo?
Che cosa è la scimmia per l’uomo? Un oggetto di riso e di dolorosa vergogna. E questo appunto dev’essere l’uomo pel superuomo: un oggetto di riso o di dolorosa vergogna.”

“Ve ne scongiuro fratelli miei, rimanete fedeli alla terra e non prestate fede a coloro che vi parlano di speranze soprannaturali! Sono avvelenatori, coscienti o incoscienti.”

“L’uomo è una corda, tesa tra il bruto e il superuomo, – una corda tesa su di una voragine.”

“Amo coloro che non cercano già, oltre le stelle, una ragione di sacrificarsi e perire; ma che si immolano alla Terra perché essa appartenga un giorno al superuomo.”

“Amo colui che vive per conoscere e che vuole conoscere, affinché un di viva il superuomo. Poi che in tal modo soltanto ei vuole la propria distrazione.”

“Serena è l’anima mia come la montagna nel mattino.”

“Sul mio onore, amico mio, rispose Zarathustra, nulla è vero di ciò che tu pensi: non v’ha nè diavolo nè inferno. L’anima tua morrà prima ancora del tuo copro; non temer di nulla!”

“Inebriante gioia è pel sofferente guardar lontano dai propri dolori e dimenticare sé stesso. E a me pure il mondo – questa imperfetta immagine di eterna contraddizione – si rivelò un giorno imagine di gioia e d’oblio.”

“Una volta lo spirito era Dio, poi si fece uomo e finirà col diventar plebe.”

“La vita è difficile a sopportare: per carità, non pretendete d’essere tanto delicati! Noi tutti insieme siamo asini e asine destinati ad essere caricati.”

“Se io volessi scuotere con le mie mani quest’albero non potrei. Ma il vento, che noi non vediamo, lo muove e lo piega a suo piacere. Noi siamo scossi e piegati nel peggior dei modi da mani invisibili.”

“Voi dovete cercare il vostro nemico, combattere la vostra guerra, e ciò per le vostre idee! E se la vostra idea soccombe, che la vostra rettitudine gridi al trionfo!
Voi dovete amare la pace perchè è un mezzo a nuove guerre. E dovete amare la pace breve più che lunga.
A voi non consiglio la pace, bensì la vittoria. Il vostro lavoro sia la lotta, la vostra pace è la vittoria!”

“Voi dite che la buona causa santifica persino la guerra? Ed io vi dico: la buona guerra santifica ogni causa.”

“Stato – si chiama il più freddo di tutti i mostri. E’ freddo anche nel mentire; e la menzogna ch’esce dalla sua bocca è questa: Io, lo Stato, sono il popolo!”

“Guardate come s’arrampicano, queste agili scimmie! s’arrampicano l’una sull’altra, e vanno a finire tutte nel fango e nell’abisso. Tendono tutti al trono: la lor follia li spinge – come se sul trono fosse la felicità. Spesso sul trono sta il fango – e molte volte anche il trono è sul fango!”

“Poco comprende il popolo la grandezza, cioè la creazione, ma ha occhi ed orecchi per i commedianti, per quelli che rappresentano le cose grandi.”

“Sempre deve distruggere, chi vuol creare.”

“Due cose ricerca il vero uomo: il pericolo e il giuoco. Per ciò egli desidera la donna, ch’è il trastullo più pericoloso.”

“L’uomo deve essere educato per la guerra e la donna per il diletto del guerriero: tutto il resto è sciocchezza.”

“Nel vero uomo si cela il bambino che vuol giocare. Orsù, o donne, rendete palese il bambino nell’uomo.”

“Ti rechi presso le donne? Non dimenticare la frusta.
Così parlò Zarathustra.”

“Matrimonio: così io chiamo la volontà che anima due esseri a creare quell’uno che dev’essere superiore a coloro che lo crearono. Io chiamo matrimonio il reciproco rispetto dei volenti per una tale volontà.
Questo sia il significato e la vera essenza del tuo matrimonio.”

“Molte follie di breve durata per voi hanno il nome d’amore. E il vostro matrimonio mette un fine a coteste piccole follie, diventando una follia eterna.”

“Immaturo è l’amore e l’odio del giovane: troppo in lui ancora son gravi le ali dello spirito.”

“Morti son tutti gli dei: ora vogliamo che il superuomo viva.
Tale sia la nostra ultima volontà nel grande meriggio!
Così parlò Zarathustra.”

“Giacché vedendo soffrire l’infelice io mi vergognai della sua vergogna; e quando l’aiutai l’offesi certo nel suo orgoglio.
I grandi benefici non ispirano la gratitudine, bensì il desiderio di vendetta; i piccoli, se non vengono dimenticati, si mutano col tempo in vermi roditori.”

“Oh guardate le dimore che questi preti hanno edificate! Chiese essi chiamano le loro caverne putride.
Qual falsa luce, quale aria appestata qui dove l’anima non può levarsi in alto.”

“La vita è una sorgente di gioia; ma le fonti cui attinge anche la plebe divengono attossicate.”

“E ai governanti voltai le spalle, quando vidi che cosa era ciò che essi chiamavano governare: il mercanteggiare e il patteggiare per la potenza con la plebe!”

“Ciò che il padre tacque s’esprime nella parola del figlio; e bene spesso trovai essere il figlio il segreto rivelato del padre.”

“Diffidate di coloro che hanno sempre in bocca la giustizia. In verità, alle loro anime fa difetto non il miele soltanto!”

“Con tali predicatori dell’uguaglianza io non voglio essere confuso o scambiato. Poi che così parlò in me la giustizia: “Gli uomini non sono uguali.”

“Tutto non è che un ritorno, un rimpatriare del mio proprio essere, di quella parte di lui ch’errava lontano, sparsa tra le cose e le apparenze.”

“Poichè nessuno possa vedere nel mio intimo e nella mia ultima volontà, io inventai il lungo e glorioso silenzio.”

“Ma laggiù tutti parlano e nessuno ascolta. Si gridi la propria sapienza a suon di campane: i merciai della fiera ne vinceranno il fragore con il tintinnio delle lor monete!
Tutti parlano, ma nessuno sa più comprendere. Tutto cade nell’acqua, ma nulla nei pozzi profondi.
Tutti cianciugliano, ma nessuna cosa giunge a compimento. Tutti chiocciano, ma chi s’accontenta al suo nido?
Tutti parlano, ma di tutto parlano male.”

“Ma invero, il mangiare bene e il bere meglio non è arte da sprezzarsi, o miei fratelli! Spezzate, spezzate le tavole degli insoddisfatti.”

“L’uomo deve diventare migliore e anche più malvagio: questo io insegno. Un maggior grado di malvagità è necessario perché prosperi il superuomo.”

“Se volete salire molto in alto, adoperate le vostre proprie gambe! Non permettete che altri vi porti; non salite sui dossi e sulle teste degli estranei.”

Foto di gruppo con signora – Heinrich Boll

“La protagonista femminile dell’azione, nella prima parte, è una donna di quarantottto anni, germanica: alta m 1,71, pesa kg 68,8 (in abito da casa), perciò ha solo 300-400 grammi meno del peso ideale. Ha occhi cangianti tra il blu cupo e il nero, capelli biondi molto folti e lievemente imbiancati,che le pendono giù sciolti, aderendole al capo, lisci, come un elmetto. Questa donna si chiama Leni Pfeiffer, nata Gruyten…”

“Leni abita ancor sempre nella casa in cui è nata. Il quartiere, grazie a una serie di casi fortuiti che non si possono spiegare, è stato risparmiato dalle bombe, almeno fino a un certo punto; è stato distrutto solo per il 35 per cento, perciò si può considerare favorito dalla sorte.”

“…in quella sera d’estate del 1938, mentre giaceva distesa e spalancata sull’erica ancora calda, ebbe la nettissima impressione di venir presa e anche di aver dato…”

“Merda, merda, merda, anch’io non voglio essere altro che merda.”

“C’è odor di calcestruzzo, figliuoli, di miliardi di tonnellate di cemento, odor di caserme e di bunker.”

“Chi ne sa niente, due cavalieri di Bamberga che vogliono morire insieme, e ce l’hanno proprio fatta: li hanno messi al muro, e sa che cosa ha gridato Heinrich prima che gli sparassero? Germania merda!”

“Che cosa sono i più alti valori della vita? Chi ci dice per chi un valore è più alto o più basso?”

“Ci sia nato in anni più recenti potrà domandarsi come mai, nel 1942-43, ghirlande e corone fossero considerate d’importanza bellica. Ecco la risposta: perché i funerali continuassero ad avere la massima solennità possibile.”

“Bè, la colpa è di Leni. E’ stata lei a volere che nessun eroe tedesco fosse l’eroe di questa storia.”

“Ti disprezzano l’ambiente familiare. Nuovo ricco. Vecchio nazista, profittatore di guerra, opportunista…cos’è che non mi dicono! Mia figlia mi parla persino del Terzo Mondo, e io allora le chiedo: Tu che ne sai del primo mondo? Del mondo dal quale provieni?”

“Lo nascondo che sono stato nazista, comunista, che ho approfittato di certi vantaggi economici che si presentavano nel mio mestiere grazie alla guerra? No. Se mi passa l’espressione grossolana, ho spolverato dovunque potevo. Lo ammetto.”

“Era lui, poi, che cercava di rincuorare un pò Kremp, ogni tanto gli rifilava una sigaretta o altro, gli batteva sulla spalla e diceva lo slogan che cominciava a circolare in quel tempo: Goditi la guerra, camerata, perché la pace sarà terribile.”

“L’avevo visto in mia nonna, in mia madre, belle facce diventate soltanto dolore, soltanto acidità, e sempre a dare ascolto a sti maledetti preti e la mattina subito alla prima messa e al pomeriggio dàgli col rosario e la sera ancora il rosario…”

“Però: quanto tempo sarebbe ancora durata, la guerra? Era il problema che ci faceva impazzire tutti: sopravvivere ancora quei pochi mesi, dove a ogni momento t’impiccavano o ti fucilavano qualcuno; caro lei, non si era più sicuri né come nazisti né come antinazisti, e porco cane, quanto tempo ci voleva prima che gli americani, da Aquisgrana, arrivassero finalmente al Reno!”

“…ma, accidentaccio, chi poteva mai dirgli, nel luglio del ’22, quante eternità mancassero alla fine della guerra? Era convinto che ormai fosse il caso di puntare sulla guerra perduta, ma quando si doveva, si poteva ormai puntarci apertamente?”

 

“Ah, quando quella ragazza cominciava a cantare era come quando di colpo, in un campo di cavoli, in pieno inverno, spunta o si apre un girasole.”

“Ma dove e come sopravvivere? E’ facile dirlo se non si considera quanta gente doveva nascondersi dagli altri.”

“Il problema del “dove andare” era di scottante attualità per i più svariati gruppi della popolazione. Dove potevano andare i nazisti, dove i prigionieri di guerra, dove i soldati, dove gli schiavi?”

“La gente immagina che, da un momento all’altro, sia finita la guerra, nei libri si legge anche una data e tanti saluti.”

“Il “liquidare”, l'”eliminare” viene attribuito a persone e a istituzioni rispettabili a cui premeva – come ai loro corrispondenti epistolari – di arrivare con le mani il più possibile pulite a quel traguardo che è falso chiamare pace, giusto invece chiamare fine della guerra.”

“Marget, ho fatto delle cose che mi costerebbero la testa dovunque vada, da tutte le parti: dai francesi, dai tedeschi che sono per il regime e da quei pochi tedeschi che sono contro, dagli inglesi, dagli olandesi, dagli americani, dai belgi, e se mi beccano i russi e scoprono chi sono, ebbene sono spacciato, ma lo sono anche se mi beccano i tedeschi che stanno ancora al timone. Aiutami, Margret!”

“E che accozzaglia di gente non ti saltava fuori! Disertori tedeschi, russi jugoslavi polacchi fino allora nascosti, operaie russe, detenuti evasi dal lager, un paio di ebrei che si erano rintanati: come fare a stabilire chi di loro era stato un collaborazionista e chi no, e in che campo andava schierato ciascuno? Quelli certo avevano creduto che la classificazione nazisti e antinazisti fosse più semplice, un pò troppo semplice; non era semplice affatto, invece, come si erano immaginati nel loro animo infantile.”

“Certo non era un paradiso, un campo di concentramento americano.”

“Il suo animo piccoloborghese resta sempre intimidito di fronte al fasto del potere; a causa della sua origine estremamente piccoloborghese ci si sente bene, ma estraneo.”

Una piccola libreria a Parigi – Nina George

“Sopra tutto aleggiava il profumo della Parigi di giugno: carica di fiori di tiglio e aspettative.”

“Impari a conoscere tuo marito solo quando ti lascia.”

“A volte nuotiamo in lacrime non versate e se le tratteniamo ci facciamo sommergere.”

“I libri la proteggono dalla stupidità. Dalla falsa speranza. Dagli uomini bugiardi. La ricoprono di amore, forza e conoscenza. E’ vita che viene da dentro.”

“E’ una falsità, pensò Perdu quando nonna, mamma e figlia l’ebbero salutato, che i librai si occupino di libri.
Si occupano delle persone.”

“Ovviamente i libri non sono solo dottori. Ci sono romanzi che sono ottimi compagni di vita. Altri sono come ceffoni. Altri ancora come un’amica che ti avvolge in una vestaglia calda quando l’autunno ti fa sentire malinconico. E alcuni… sì, alcuni sono come zucchero filato rosa, solleticano il cervello per tre secondi, lasciando dietro di sé un gioioso vuoto. Come un’avventura erotica.”

“Perdu voleva che si sentisse come in un nido. Che si rendesse conto dell’eternità che offrivano i libri. Ce ne saranno sempre abbastanza. Non smetteranno mai di amare chi li legge. Erano il punto fermo di tutto ciò che non si poteva calcolare. Nella vita, nell’amore, dopo la morte.”

“Perché non ti ho mai detto che ti amo? sussurrò il libraio.
Non glielo aveva mai confessato, per non metterla in imbarazzo, per non dover sentire le dita di lei sulla sua bocca mentre gli sussurrava: Shh.”

“Figlio mio, quando una donna si sposa entra inevitabilmente in un sistema di sorveglianza permanente.”

“C’è sempre una donna, Jeanno. Non esiste altro che riesca a far deragliare un uomo.”

“Lei aveva versato il vino, un leggero Le Tapie paglierino della Guascogna. E lui l’aveva bevuto sorseggiandolo cauto.”

“E anche un’avventura addomesticata, come tutte le barche ormeggiate a terra.”

“Parigi scorreva davanti a loro come una pellicola di un film: il Pont Neuf, Notre-Dame, il bacino dell’Arsenale.”

“Lei pensa che solo i personaggi dei libri possano fare cose folli?”

“So tutto sugli uomini, ma non sull’uomo.”

“Ho voglia di baciarlo per vedere se oltre a sapere e parlare può anche sentire e credere.”

“Parigi per lui era una gigantesca macchina che, roboante, produceva un mondo di illusioni per i suoi abitanti.”

“Sapeva di sale marino, del loro sudore, del salmastro dei prati del delta in cui il fiume e il mare confluivano come due amanti.”

“Manon aveva l’odore della giumenta che conduceva con destrezza, sapeva di libertà. Il suo profumo era una miscela di spezie orientali e della dolcezza dei fiori e del miele: profumava di donna!”

“Mi ha confidato che troppe donne sono complici di uomini meschini e indifferenti. Mentono per loro. Mentono ai propri figli. Perché anche loro sono state trattate in quel modo dai loro padri. Queste donne vogliono sempre credere che dietro la meschinità si nasconda l’amore, per non impazzire dalla sofferenza. Ma il fatto è, Max, che quello non è amore.”

“Ah, al diavolo. Nessuno diventa intelligente se a un certo punto non è stato giovane e stupido.”

“Non ascoltare mai la paura. La paura rende stupidi.”

“Il profumo dei funghi riempiva la striminzita cambusa mentre gli uomini, seduti sul ponte di poppa della Baluu, bevevano vino rosso da una caraffa da tre litri e il vino bianco tipico della zona: l’Auxerrois.”

“Perdu sollevò il libro sottile. Max aveva sottolineato delle frasi a matita, annotato domande; aveva letto il libro come ogni libro vorrebbe essere letto.”

“Leggere: un viaggio senza fine. Un lungo, infinito viaggio, in cui si diventa più miti, amorevoli e umani.”

“Nei sogni della nostra vita siamo immortali. E i morti continuano a vivere nei nostri sogni. I sogni sono le porte girevoli fra tutti i mondi, fra il tempo e lo spazio.”

“Scommesse, boschi e un pò di vino. Che cosa può volere di più un uomo? disse compiaciuto.”

“Nel tango non si tratta mai di uno. Ma di tutto.”

“Il tango è un siero della verità. Smaschera i problemi e i complessi. Ma anche i punti di forza che teniamo nascosti agli altri per non offenderli.”

“Sono fermamente convinto che bisogna mangiare l’anima di un paese per capirlo. Per sentire le persone. E l’anima è ciò che lì vi cresce. Quello che le persone vedono e annusano e toccano. Quello che le ha nutrite e plasmate dall’interno.”

“Riforniti di provviste, acqua e una manciata di nomi e numeri di cellulare di gente cortese che viveva sulle acque, svoltarono in un canale secondario della Loira. Passarono castelli, foreste fitte e resinose dall’odore di fresco e vigneti in cui crescevano Sancerre Sauvignon, Pouilly Fumé e Pinot Noir.”

“L’abitudine è una dea pericolosa e vanesia. Non permette a nulla di distruggere il suo regno. Sopprime il bisogno del nuovo. Il bisogno di viaggiare, di un altro lavoro, di un nuovo amore. Impedisce di vivere come vogliamo. Perchè per abitudine non riflettiamo più se vogliamo davvero ciò che viviamo.”

“Portarle dentro di noi. E’ quello il compito. Portiamo dentro di noi i nostri morti e gli amori infranti. Sono loro che ci rendono quello che siamo. Se cominciamo a dimenticare o a scacciare i nostri cari… allora anche noi scompariremo come loro.”

“avere un bambino è come rinunciare alla propria infanzia per sempre. E’ come se finalmente capissi che cosa significa davvero essere un uomo. Hai anche paura che tutte le debolezze vengano a galla, perché essere padre vuol dire essere più di quello che puoi fare…”

“Alla fine rimpiangiamo solo quello che non abbiamo fatto, si dice così, no?”

“Oh! Cuisery! Gli amanti dei libri ci lasciano il cuore. E’ un paese in cui tutti vanno matti per la letteratura.”

“Più sotto, davanti a lui, la baia di Marsiglia si presentava in tutto il suo splendore. la città in cui Africa, Europa e Asia si incontravano e si scontravano. La città portuale era come un organismo vivente e vibrante sotto la luce del sole che tramontava dietro le montagne di Vitrolles.”

“Il mare.
Come luccicava.
Salve mare, sussurrò Perdu. Quella vista lo chiamava. Come se dall’acqua fosse sbucato un arpione che gli si era conficcato nel cuore e lo tirava a poco a poco verso di sé.
L’acqua. Il cielo. Le strisce di condensa bianca nell’azzurro sopra di lui, schiuma bianca nell’azzurro sotto di lui.”

“Per un momento Jean riuscì a mettersi nei panni di questa Margot di Aubagne. Ma lui era pur sempre un uomo. Come doveva essere stare in due nello stesso corpo per nove mesi per lui rimaneva un mistero. Non avrebbe mai potuto sapere cosa si prova quando una parte dell’io si trasforma per sempre in un bambino e sparisce.”

“Sorseggiava la vita come faceva con lo champagne e l’accoglieva nello stesso modo: sapeva che era qualcosa di speciale.”

“Il mare, Catherine, può urlare, graffiare. Si può mescolare dentro di te e accarezzarti, può essere come lo specchio più liscio per poi incresparsi di nuovo attirando i surfisti fra le sue onde alte e maestose.”

“Consiglio al sindaco di leggere quello che vuole invece di quello che potrebbe far colpo, e di non ordinare i volumi della sua biblioteca in base ai colori delle copertine o in ordine alfabetico o di genere.”

“Personalmente penso che non ci siano domande troppo grandi, basterebbe solo adattare le risposte.”

“Il Sud è azzurro, Catherine.”

“I libri possono fare molto, ma non tutto. Le cose importanti bisogna viverle e non leggerle. Io devo ancora…vivere il mio libro.”

“Ti seguitò con lo sguardo mentre percorri una strada insicura e poi ti giri ad aspettarmi.”

“E sai Jeanno, quando si invecchia si vuole stare con qualcuno con cui parlare e ridere.”

“Strano, pensò Perdu, come tutte le rinunce, tutte le sofferenze, vengano spazzate via da una risata. Con una sola risata. E gli anni si fondono insieme e scorrono via.”

“Sei un’altra persona se da piccolo ti sei scaldato davanti a un falò invece che davanti a un calorifero, se ti sei arrampicato sugli alberi invece di andare in bici con il caschetto sul marciapiede e se sei uscito a giocare nei prati invece di startene incollato al televisore.”

“La morte non significa nulla. Rimaniamo sempre quello che siamo stati l’uno per l’altro.”

“Alla C sta scrivendo “conforto da cucina”, la sensazione che si prova quando in cucina qualcosa di gustoso sta cuocendo a fuoco basso, i vetri si appannano e presto le persone care mangeranno con te al tavolo e ti guarderanno felici fra una cucchiaiata e l’altra.”

 

Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino – Christiane Felscherinow

“Era di un eccitante pazzesco. Mia madre fece bagagli, valigie e casse per giorni interi. Io capii che per noi sarebbe cominciata una nuova vita.

“Sapevo che presto saremmo andati lontano, in una grande città che si chiamava Berlino.”

“Al paese i più grandi avevano sempre giocato con i piccoli, e ci sorvegliavano anche. I bambini del nostro stabile mi dissero subito: Cosa vuoi tu qui? – Poi mi presero la bicicletta. Quando la riebbi indietro aveva una ruota a terra e un parafango piegato.”

“Gropiusstadt: casermoni per quarantacinquemila persone, con in mezzo prati e centri commerciali. Da lontano tutto nuovo e ben curato. Ma quando si stava in mezzo ai casermoni si sentiva dappertutto puzza di piscio e di cacca.”

“Giocavamo più l’uno contro l’altro che l’uno con l’altro. In realtà si trattava sempre di far arrabbiare gli altri in qualche modo. Tutto il gioco consisteva nel portarli allo sfinimento e di sfruttarne per se stessi i vantaggi: acquistare potere e soprattutto dimostrare potere.
E i più deboli beccavano più botte di tutti.”

“Al paese noi bambini avevamo rispetto per gli adulti…Ma lì era tutto diverso.”

“La sera chiedevo sempre a mio padre tutta dolce se per caso lui sarebbe uscito. Usciva abbastanza spesso e allora noi tre donne finalmente tiravamo un sospiro di sollievo. Queste serate erano meravigliosamente pacifiche. Ma quando lui poi tornava a casa la notte poteva risuccedere il casino.”

“Naturalmente all’età di sei-otto anni non capivo un accidente. Mio padre mi confermava semplicemente le regole di vita che già avevo imparato per strada e per scuola: darle o prenderle.”

“Imparai il gioco a poco a poco: esercitare il potere sugli altri o essere schiacciata.

“Avevo imparato come ci si afferma a Berlino: sempre a muso duro. Preferibilmente il più duro di tutti. Allora puoi fare il capo.”

“Potevamo dunque stare solo nello spazio giochi. Ogni paio di casermoni ce n’era uno. Era fatto di sabbia strapisciata e di un paio di attrezzi per arrampicarsi, rotti.”

“Così si imparava in maniera del tutto automatica che tutto quello che è permesso è terribilmente insulso e che tutto quello che è vietato è molto divertente.”

“Mio padre mi guardò come un pazzo. Capii che adesso avrebbe dato di matto. Si mise a gridare e subito a battermi. Mi picchiava e io ero imprigionata nel mio letto e non ne venivo fuori. Non mi aveva mai picchiata così e io pensai: adesso mi ammazza. Quando si gettò a picchiare anche mia sorella ebbi due secondi di aria e tentai istintivamente di raggiungere la finestra. Pensai che sarei saltata dall’undicesimo piano.”

“Mi resi conto presto quale era la musica che loro trovavano forte e anch’io subito dopo stavo appresso a quella musica: David Bowie e roba così.”

“La situazione era simile per tutti: di merda a casa e sul lavoro.”

“Io ancora non mi sentivo come tutti gli altri. Per esserlo, pensavo, ero ancora troppo giovane. Ma gli altri erano i miei modelli. Volevo essere possibilmente come loro, o diventare come loro. Da loro volevo imparare perchè pensavo che sapevano quale era la maniera liscia di vivere e non di farsi toccare da tutti gli stronzi e da tutta la merda. Comunque dai miei genitori e dagli insegnanti non mi facevo più dire niente. Per me il gruppo ora era tutto quello che c’era di importante nella mia vita.”

“Le facce della gente nella metropolitana erano delle maschere spaventose. Cioè: questi piccolo borghesi erano come sempre. Solo che ora nelle loro facce si vedeva ancora più chiaramente che razza di disgustosi piccolo borghesi fossero. Mi immaginavo che loro adesso venivano da qualche osteria di merda o da qualche luogo di lavoro di merda. Poi queste facce da maiali andavano a letto, poi di nuovo al lavoro e poi guardavano la televisione. Pensai: puoi essere felice di essere diversa, e di avere il tuo gruppo. Puoi essere felice del fatto che adesso sei in acido, hai la capacità di realizzare e vedi che razza di piccolo borghesi ci stanno nella metropolitana.”

“Mia madre naturalmente era ancora sveglia. Ci fu il solito bla bla. Dove ero stata. Così non si poteva andare avanti. Assolutamente. Mia madre mi appariva terribilmente ridicola. Grossa e grassa nella sua camicia da notte bianca, la faccia sconvolta dalla rabbia. Come i piccolo borghesi nella metropolitana. Non dissi una parola. Comunque con lei non ci parlavo più. In ogni caso parlavo solo delle cose di maggiore necessità e di minore interesse. Non volevo da lei nè tenerezza nè contatto. Mi ero fatto l’idea – per lo meno così avevo pensato qualche volta – che non avevo più bisogno nè di una madre nè di una famiglia.”

“Nessuno aiutava l’altro, ognuno voleva essere il migliore.”

“Mia madre mi fece subito un paio dei soliti rimproveri. io aspettavo delle domande. lei era di nuovo stressata in questa domenica mattina. La casa, il mangiare, i casini con Klaus. Non voleva caricarsi di altre arrabbiature nel momento in cui cominciò la solita lunga tiritera. Forse non voleva affatto sapere come stavano esattamente le cose.”

“Noi non parlavamo mai del futuro.”

“Io ero semplicemente un passo più avanti di loro. Che fosse un passo verso la merda totale allora non lo sapevo.”

“Andammo in un locale che era già aperto della stazione della metropolitana, fermata Zoo, il Bahnhof Zoo. Mi colpì subito lo squallore. Era la prima volta che ero al Bahnhof Zoo. Era una stazione enormemente squallida. C’erano barboni buttati nel loro vomito e ubriachi dappertutto.
Che ne sapevo che entro un paio di mesi avrei passato qui tutti i pomeriggi?”

“In effetti non sentivo più l’esigenza di raccontare di me a mia madre.”

“L’eroina entrò come una bomba”

“Senza droghe il Sound era squallido. Non succedeva più niente. Fino a quella mattina in cui andai alla metropolitana e vidi che dovunque si stavano attaccando dei manifesti. Erano manifesti pazzescamente pop. Sopra c’era scritto: David Bowie viene a Berlino. – Non riuscivo a capacitarmi. David Bowie era il nostro idolo solitario, il più stupendo di tutti. La sua musica era la migliore. Tutti volevano assomigliare a lui. E finalmente veniva a Berlino.”

“Quando David Bowie cominciò era tutto eccitante quasi come me lo ero immaginato. Era pazzesco. Ma quando arrivò al pezzo -It is too late -, è troppo tardi, andai giù di un colpo.”

“Non avevo progetti, ma solo sogni.”

“Senza rifletterci sopra gran che mi ero già scissa in due persone radicalmente diverse. Scrivevo lettere a me stessa. Christiane scriveva lettere a Vera. Vera è il mio secondo nome. Christiane era la quattordicenne che voleva andare dalla nonna, in qualche modo era la buona; Vera era la bucomane. E le due litigavano ore per lettera.”

“Quando fui di nuovo fuori dalla macchina mi calmai completamente. Feci una specie di bilancio: questo è il tuo secondo uomo. Hai quattordici anni. Meno di quattro settimane fa sei stata sverginata. E adesso vai a battere.”

“Tutto è ormai proprio senza via d’uscita.”

“Ognuna voleva solo parlare di sè per ore intere e nessuno voleva ascoltare l’altra per due minuti.”

“Tutto era diventato nuovamente completamente realistico, e cioè completamente senza speranza.”

“Per una settimana andai ogni giorno al consultorio. Lì finalmente potevo parlare. Era la prima volta che arrivavo in un posto e mi si faceva parlare. Fino a quel momento mi avevano sempre chiuso il becco.”

“Prima di Natale andammo ad Amburgo, per fare compere di natale. Ci buttammo negli acquisti fin dalla mattina presto. Infilati dentro ai grandi magazzini. Era l’orrore totale. Pigiati per ore in mezzo a questa massa miserabile di piccolo borghesi che arraffavano tutto e stavano col naso infilato nei loro portafogli rigonfi.”

“Ma ammazzarsi di lavoro per un appartamento, per un nuovo divano, come aveva fatto mia madre. questo non esisteva. Questi erano stati gli ideali sorpassati dei nostri genitori: vivere per poter tirare su dei soldi.”

“Quando a scuola parlammo del nazionalsocialismo ebbi dei sentimenti molto contrastanti. Da una parte mi si rivoltava lo stomaco quando pensavo alle orribili brutalità di cui sono capaci gli uomini. D’altra parte trovavo giusto che prima c’era qualcosa cui gli uomini credevano. Capitò che una volta durante le lezioni dissi: In un certo senso sarei stata volentieri giovane nel periodo nazista. Allora i giovani avevano un’idea di come stavano le cose e avevano ideali. Credo che per un giovane è meglio avere falsi ideali che non averne nessuno.”

“Davanti a quello specchio mollavano completamente il loro io. Diventavano solo la maschera di se stesse, una maschera che doveva piacere ai tizi con la moto superfantastica.”

“Leggevo moltissimo. Il Werther di Goethe e il Wether dello scrittore della Germania orientale Plendzdorf. Herman Hesse e soprattutto Erich Fromm. Il libro di Fromm L’arte di amare diventò la mia Bibbia. Imparai a memoria pagine intere. Semplicemente per il fatto che sentivo il bisogno di rileggerle continuamente. Ricopiai anche dei passaggi del libro e li appesi sul mio letto.”

“Una volta ho chiesto stupidamente perchè tutto quello che facevamo non potevamo farlo anche senza stravolgerci. E quelli mi hanno detto che era proprio una domanda cretina. Come ci si potrebbe altrimenti liberare di tutta la merda che uno vive durante il giorno?”

“L’unica strada che c’è per arrivare alla cava la vogliamo chiudere.
Non avremmo comunque più alcuna voglia di ritornare su.”

Navigazione articolo