Frasiarzianti's Blog

Le frasi più belle tratte dai libri letti

Il bell’Antonio – Vitaliano Brancati

“Dei siciliani scapoli che si stabilirono a Roma intorno al 1930, otto per lo meno, se la memoria non m’inganna, affittarono ciascuno una casa ammobiliata, in quartieri poco numerosi e frequentati, e quasi tutti andarono a finire presso insigni monumenti, dei quali però non seppero mai la storia nè osservarono la bellezza, e talvolta addirittura non li videro.”

“Cupole, portali, fontane… opere che, prima di essere attuate e compiute, tennero aggrottate per anni la fronte di Michelangelo o del Borromini, non riuscirono a farsi minimamente notare dall’occhio mobile e nero dell’ospite meridionale! Antiche campane, dalla voce grave e delicata, che si erano meritate i versi di Shelley e dio Goethe, si guadagnarono un – Chi camurria, sta campana!”

“Ma sulla terra piena di misteri, il vivente più misterioso è forse l’uomo brutto.”

“Antonio invece era rimasto pigro e sincero come il cameriere di un caffè siciliano in un pomeriggio d’agosto, quando, spossata ogni capacità di finzione, e la solerzia diplomatica, e ogni altro genere di solerzia, dall’implacabile scirocco, dissuade il cliente dallo scegliere alcuna cosa nella carta dei gelati, e se poi questo cliente, nonostante l’avvertimento contrario, ordina un cedro o un albicocco, per noia o per stanchezza il cameriere non glielo porta.”

“Dio, com’è triste Roma! pensa Antonio, e indossato il soprabito, e rimenata un poco la pancia del cane che, aspettando quella carezza, stava già rovesciato sul dorso con le gambe in aria, esce di casa.”

“Gl’impiegati, in ogni parte del mondo, quando sono investiti di un’autorità assoluta diventano tali tiranni che al loro paragone gl’imperatori romani fanno la figura dei bambini… No, il socialismo sarebbe il medioevo!”

“Il terrazzino sporgeva da un lato sul corso, la via Etnea, lunga tre chilometri, fragorosa di vecchi tram, di frustate sul dorso di magri cavalli, di conversazioni, risate, strilli di giornalai, ribollente di scappellate, manate, gesticolamenti, urtoni, inchini…”

“Finalmente Antonio rimase solo e poté guardare a suo agio i cari tetti di Catania, quei tetti neri, disseminati di giare, di fichi secchi e di biancheria, sui quali il vento di marzo, al tramonto, sferra calci  da cavallo; le cupole che, nelle sere di festa, scintillano come mitre d’oro; le gradinate deserte dei teatri all’aperto; gli alberi di pepe del giardino pubblico; il cielo della provincia, basso e intimo come un soffitto, sul quale le nuvole si dispongono in vecchi disegni familiari; l’Etna accovacciato fra il mare e l’interno della Sicilia, con sulle zampe, la coda e il dorso, diecine di paesetti neri che vi stanno arrampicati con stento.”

“La sera, Antonio e Leonardo Lentini passeggiarono in su e giù per la corta, ma infinitamente bella, via Crociferi. Le tre chiese e i due conventi, fra i quali la strada scorre in declivio, erano deserti e silenziosi; le alte cancellate di ferro battuto, che stringono in seno le brevi e ripide gradinate dei sagrati, eran chiuse con catenacci.”

“I libri svegliano!”

“…presso una stazioncina davanti alla quale, una volta ogni due giorni, passava il piccolo treno che fa il giro dell’Etna, unico rumore che potesse turbare le meditazioni di un uomo gentile la cui indole affettuosa si esplicava ormai esclusivamente nell’amare il proprio odio contro i tempi.”

“Un istantaneo vacillamento del passo la staccò dalla madre e la portò vicinissima al giovane che poté sentirne l’odore di velo, di pelle bruscamente riscaldata dal sangue, di forcine di tartaruga e d’indumenti conservati a lungo insieme a vecchi fiori, odore che nessuna donna di Roma aveva mai posseduto e che gli saettò dentro la carne come uno scotimento profondo.”

“La casa del più rinomato notaio di Catania, Giorgio Puglisi, era situata in piazza Stesicoro, di fronte al vecchio tribunale, sul tetto del quale l’Etna, reso prossimo e quasi imminente dalla mancanza di oggetti che s’interpongano alla vista, spalanca le sue enormi ali, bianche come quelle di un cigno in inverno, color viola nelle altre stagioni.”

“I venditori di fichi d’india ritiravano le carrette cariche di bucce fuori del corteo che le aveva circondate, e le addossavano ai muri…”

“Era, era… Tutti eravamo… Bisogna vedere chi è, una persona, e non chi era!”

“Il torto mio è stato di mettermi coi giovani… Chi si corica coi bambini, si alza pisciato!”

“A Catania siamo fatti così… le cose ce le leggiamo negli occhi… basta un gesto, basta un sospiro, e tutti credono di aver capito…”

“Badate, notaio, che il bue si stima per le corna e l’uomo per la parola.”

“Dopodomani – rispose freddamente il notaio – mettiamo la cosa in mano agli avvocati. Vedranno loro.”

“No, non mi levare quest’unico conforto! Per addormentarmi, la sera, ho bisogno di pensare che la morte è seduta al mio capezzale. E’ l’unico pensiero che mi dia un pò di calma. Fuori di lui, trovo agitazione, spavento, insonnia e sudori freddi. No, Antonio, è proprio così. Per mia fortuna fra pochi mesi le rivoluzioni non mi potranno fare più nulla, e le reazioni nemmeno. Fascismo, comunismo… mi lasciano ormai tranquillo. Vinca l’uno o l’altro, nessuno di questi prepotenti potrà farmi più nulla levandomi il pane o l’aria; nessuno riuscirà più a strapparmi dalle viscere quell’urlo che tante volte, a casa mia, provando solo solo davanti allo specchio, ho cercato d’imitare, quasi per confortarmi col pensiero ch’esso sia nelle capacità umane, cercato, sì, ma sempre inutilmente, e da ciò ho misurato quanto debba essere bestiale la sofferenza che lo insegna così di botto a un essere umano!”

“Oh, com’era bella la vita! Com’era bella!”

“La calunnia, la temono anche i santi.”

“E poi era un uomo modesto e cortese, con due occhi spalancati che esprimevano costantemente meraviglia, sicché tutti coloro che parlavano con lui avevano la piacevole impressione d’interessarlo sommamente.”

“Ma non sempre ride la moglie del ladro.”

“Mai, signuri, non mi ci metto più coi buoni, ché l’uomo buono quando perde il lume degli occhi diventa peggio del diavolo!”

“Entravamo a quel punto in piazza Dante, rasentando la chiesa di San Nicola, dalle colonne mozze, attorno ai cui muraglioni le rondini, saettando di sotto alle tegole del bel convento vicino, lanciavano strida brevi e attutite, quelle che, destinate a luoghi solitari e antichi, li rendono ancora più solitari e antichi.”

“Cristo di Dio, perché non dev’essere vero che tu esisti? Perché non dev’essere vero che gli assetati di giustizia saranno saziati, e che gl’infelici in terra siederanno alla tua destra nella luce e nella gioia? Perché non devi aver ragione tu quando minacci l’inferno a coloro che non credono in te, e devono invece aver ragione loro, i maledetti?”

“Fra poco – diceva – questi venti anni di tirannide, di rozzezza, di presunzione ci parrà di averli sognati in una notte di febbre. Conserveremo soltanto il tic di voltarci indietro prima di parlare a voce alta, e faremo ridere i nostri nipoti.”

“Adorabile europeo, a cui bastava un’immagine di donna, davanti agli occhi della mente, per non vedere più né fango né miseria.”

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